Quando all’alba del 2022 è scoppiata la guerra in Ucraina, tralasciamo le analisi trite e ritrite sulle cause che l’hanno scatenata pur avendo bene a mente che alla base vi è una brutale aggressione da parte della Russia di Putin, in Europa era tanto il timore di una escalation ma anche delle conseguenze politico-economiche di un conflitto che si combatteva “a due passi” dal vecchio continente, a sole poche migliaia di chilometri dall’Italia. Nello stesso tempo il pensiero dominante era che l’apice del peggio fosse stato raggiunto e che le probabilità di ulteriori contese belliche ai confini dell’Europa fossero bassissime se non addirittura inesistenti.
Tale previsione è stata completamente sovvertita dopo il terribile attacco lanciato da Hamas contro i cittadini israeliani lo scorso 7 ottobre e la brutale risposta militare israeliana in corso, che ha provocato uno scossone geopolitico a livello globale. I governi e le opinioni pubbliche europee si sono schierati in due visioni del mondo diametralmente opposte: il sostegno incondizionato al diritto di Israele a difendersi e la solidarietà con i palestinesi massacrati dall’operazione militare israeliana a Gaza.
Oggi i mass media parlano in continuazione di un piano politico che miri a incorporare la soluzione dei due Stati per porre fine all’atavica querelle israelo-araba, in grado di garantire non solo la stabilità del Medio Oriente, ma anche il futuro stesso dell’Europa. Ma come si può realizzare concretamente questo passaggio epocale se le fazioni in contesa non vogliono sentir parlare di accordo e, soprattutto, se Hamas prosegue nel voler perseguire il suo malefico disegno di destabilizzare l’intera area attraverso operazioni terroristiche che finiscono per danneggiare le stesse legittime rivendicazioni della Palestina tutta, identificata con Hamas ma perlopiù lontanissima da ogni ideale sovversivo e contraria ad una soluzione basata sulla violenza armata.
Prima parlavo del timore dell’Europa per una eventuale escalation militare del conflitto. La domanda che ci si pone frequentemente è come e in quali direzioni potrebbe verificarsi effettivamente un allargamento del conflitto. Tutti gli occhi sono puntati sulla Striscia di Gaza controllata da Hamas, considerata da Stati Uniti e Unione Europea come una pericolosa organizzazione terroristica. Grande attenzione, però, è rivolta anche sul fronte nord israeliano, dove il partito-milizia libanese Hezbollah è già impegnato in una serie di schermaglie con le forze israeliane. Degna di nota anche la possibile apertura di un “fronte del Mar Rosso”, per mano dei miliziani sciiti Houthi dello Yemen, che come Hezbollah e Hamas fanno parte della costellazione iraniana nella regione.
Dunque Siria, Iran, Russia, Turchia, Stati Uniti sono tutte realtà territoriali che, al verificarsi della minima scintilla, potrebbero intervenire direttamente nel conflitto, determinando il verificarsi di scenari assai simili ad un conflitto mondiale non più circoscritto al focolaio Israelo-Palestinese. Si configurerebbe un contesto apocalittico assolutamente da evitare, che riporterebbe indietro il mondo ad anni terribili e dominati da morte e distruzione che, a seguito dell’emanazione della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, adottata il 10 dicembre del 1948 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, si credeva a ragion veduta mai più replicabile.
In questo panorama aggrovigliato il ruolo dell’Europa intesa come Istituzione potrebbe essere determinate per sbrogliare la matassa. Non va dimenticato, infatti, che è stata proprio l’Ue a proporre la soluzione del riconoscimento ufficiale di due Stati (Israele e Palestina per intenderci), ma occorre agire in maniera forte e pragmatica e non fermarsi solo all’idea, lodevole ma poco consistente a livello pratico, di una conferenza internazionale di pace per riprendere il dialogo per la definizione del conflitto con la proposta due Stati sopra menzionati. Ma le divisioni all’interno dell’Unione Europea sulla guerra in Medio Oriente ne minano la credibilità internazionale e ne compromettono notevolmente la capacità di incidere per promuovere un percorso di pace condiviso.
Luca Salini
Avvocato e Giornalista Pubblicista